Allora d’avvoltoj neri, deformi
Una turba, una folla, un nugol venne,
Di cui parean li artigli àncore enormi,
Rostri di nave i becchi, e l’ali antenne;
Antenne che con moti ampj, difformi,
E vestite da tetre e bronzee penne,
Fendeano l’aria impaurita e mesta
Con fragor di tremuoto e di tempesta.
Inorridisce Esperio; e quel che molto
Cresce il ribrezzo suo, non la paura,
È che ognun di quei mostri ha umano il volto,
Se togli il rostro ch’è d’altra natura;
Ma il suo ribrezzo in altro senso è volto,
Quando tutti un per un li raffigura,
E si sovvien con istupor profondo
D’averli visti e conosciuti al mondo.
Di Stradella il volpon non è colui
Che il collo irsuto sogghignando inarca,
L’uom da’ maligni adattamenti bui,
Che di frodi gravò l’itala barca?
Quei che il dorso ripiega al cenno altrui
Non è di Lissa il perfido navarca?
L’altro il duce non è dell’empio stuolo,
Che ferì la nizzarda aquila a volo?