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212 Atlandide


Rapido ei piomba nell’immenso vuoto,
     Che l’incalza, l’assorbe e lo divora;
     Peso a peso si aggiunge e moto a moto,
     Ruina il tempo, ed ei ruina ognora;
     Pei tenebrori dell’eterno ignoto,
     Che non videro mai riso d’aurora,
     Precipita incessante, e dei maligni
     Spiriti per la notte ode i sogghigni.

Cade alfin sussultando appiè d’un alto
     Scoglio ch’al cielo avventa il picco irsuto,
     Quasi titan che muova al cielo assalto
     Dal cupo abisso, ov’è dal ciel caduto;
     Stendesi intorno, qual puniceo smalto,
     Un mar da spaventose ombre tenuto,
     Che, sia di sangue o di bollente foco,
     Fremebondo s’inalza a poco a poco.

Sorge, ed isola fa tra le rosse onde
     Una riversa, smisurata croce,
     Dove un gigante dalle membra immonde
     Confitto piange in minaccevol voce;
     Si dilatan le sue piaghe profonde
     Perennemente con stridor feroce;
     E dalle piaghe e dalle ciglia spente
     Sgorga di sangue e lacrime un torrente.