Fuggì le mura cittadine; al mite
Ozio dei campi, al dolce aer sereno,
Alle vaghe dei boschi ombre romite 140Cercò la pace od un refugio almeno:
Così fugge a curar l’aspre ferite
Uccel che sente il mortal piombo in seno,
E poi che trova la balsamica erba, 144Sana le piaghe, ma il terror ne serba.
Una cura incresciosa, uno sgomento
Anche nei più tranquilli èremi ei porta;
Né di ciel chiaro aspetto o volger lento 148Di ruscelli o di selve ombra il conforta:
Muto è dell’arte il sovrumano accento,
Ogni sua cara illusione è morta;
E al cielo, all’acque, ai boschi, all’arte ei chiede, 152Piangendo invan, la giovanil sua fede.
Ode, e poi che da lui nulla più teme
La turba vil, che all’altrui danno esulta,
Commiserando e malignando insieme, 156Con la crudele sua pietà l’insulta;
Ode Tartufo, e consolato geme:
O giustizia di Dio, non resti inulta;
Chi volgea contro a te l’anima astuta 160Miseramente ha la ragion perduta!