Lo riconobbe Esperio, e con dischiuse
Braccia incontro gli corse, e: O dolce amico,
Scotendolo dicea, le nostre muse
Dunque scordasti e il nostro affetto antico?
Ei le torbide in lui palpebre schiuse,
Qual uom d’ogni più lieve opra nemico;
Scrollò le spalle, e socchiudendo i rossi
Occhi, calmo ghignando, addormentossi.
Move oltre Esperio, e qua e là seduti
All’uggia dei succosi alberi lenti,
Giovani vede inerti e ben pasciuti
Come tranquilli ed aderbati armenti:
Adipose han le pance, i crin canuti,
Smorti gli sguardi, i volti indifferenti,
Se non quanto si muta il lor cipiglio
In un lungo, sonante, ampio sbadiglio.
Matta Lascivia di buon’ora a queste
Piagge li ha tratti e affascinati e vinti;
E poi che insinuò l’acre sua peste
Nei molli corpi e l’ebbe quasi estinti,
Spremendone con dolci arti funeste
L’ardor nativo e i generosi istinti,
A riempirne le sgonfiate cuoja
Gittolli in preda all’Ozio ed alla Noja.