All’entrare dei Due la barba oscena
Levò costui dal putrido cibreo,
E in chioccia voce d’alterigia piena
Esclamò non pregato: Io son Linceo!
A questa pura ed odorosa vena
Io da più anni mi disseto e beo,
E andando su e giù come stantuffo
Gli alti secreti di Natura acciuffo.
Stomaco insigne, e qual da così fatto
Mestier, tosto la Donna a dir gli prese,
Vantaggio mai l’umana gente ha tratto,
Qual bene o gloria il tuo gentil paese?
Soffiò, strillò, come assalito gatto,
Linceo, nè il fin della domanda attese;
E sguazzando fra quelle orride zuppe,
Digrignò i denti verdi, e sì proruppe:
Qual onore? Qual pro? De’ miei divini
Studj udito non hai dunque gli squilli?
Io scoprii quante specie di pollini
Han sotto a’ genitali organi i grilli;
Io scoprii quanti anelli e quanti uncini
Ha il tènia, quanti peli hanno i bacilli,
Io le genti scoprii viscide e strane,
A cui fu patria un cacherel di cane!