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172 Atlandide


E poi che vivo a' dotti esperimenti
     Dato incider non è l’uman cervello,
     (Tanto ancor può su le ritrose menti
     Misto a vecchia ignoranza orror novello!)
     Oh magnanimo ardir, negl’innocenti
     Bruti conficchi il salutar coltello,
     E a spettacol de’ tuoi, mutili e sbrani
     Pecore vive e palpitanti cani.

Salve, o magica dea! Se di te degno
     Non sorge ancor della mia lode il suono.
     Se rude è il verso mio, tardo l’ingegno,
     Dammi, prego, pietà non che perdono:
     A’ ministerj del tuo nobil regno,
     Il sai, magica dea, novizio sono;
     E poco è omai, che seguitando i passi
     De’ Due che canto, alle tue soglie io trassi.

Poi che vòlto alla strana isola il tergo,
     Delle donne ridendo, ebber costoro,
     Tutta la notte su l’ondoso albergo
     Ninnati fûr da un venticel canoro;
     Ma appena il Sol ruppe il notturno usbergo
     Con le saette sue di rose e d’oro,
     Si svegliâr presso ad un pomiceo monte,
     Che ronchiosa dal mare alza la fronte.