E poi che vivo a' dotti esperimenti
Dato incider non è l’uman cervello,
(Tanto ancor può su le ritrose menti
Misto a vecchia ignoranza orror novello!)
Oh magnanimo ardir, negl’innocenti
Bruti conficchi il salutar coltello,
E a spettacol de’ tuoi, mutili e sbrani
Pecore vive e palpitanti cani.
Salve, o magica dea! Se di te degno
Non sorge ancor della mia lode il suono.
Se rude è il verso mio, tardo l’ingegno,
Dammi, prego, pietà non che perdono:
A’ ministerj del tuo nobil regno,
Il sai, magica dea, novizio sono;
E poco è omai, che seguitando i passi
De’ Due che canto, alle tue soglie io trassi.
Poi che vòlto alla strana isola il tergo,
Delle donne ridendo, ebber costoro,
Tutta la notte su l’ondoso albergo
Ninnati fûr da un venticel canoro;
Ma appena il Sol ruppe il notturno usbergo
Con le saette sue di rose e d’oro,
Si svegliâr presso ad un pomiceo monte,
Che ronchiosa dal mare alza la fronte.