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170 Atlandide


Con che arti potrei, folle, con quali
     Penne toccar le gloriose cime,
     Se l’industrie son tue, se tue son l’ali,
     Onde sorge anche il verme al ciel sublime?
     Per te fama e possanza hanno i mortali;
     Per te pregio il saper, vanto le rime;
     Solo per te l’industrioso coro
     Degli apostoli tuoi sguazza nell’oro.

Tu dall’altar con mistica parola
     Cieli ed inferni all’uman gregge assegni;
     La barbogia Sofia tu dalla scuola
     Cacci e vie più lucrose apri agl’ingegni;
     Tu con fragor di torbida gragnuola
     Il Foro invadi e a vender tutto insegni;
     Tu dei morbi la pallida coorte
     Debelli, e presto domerai la Morte.

Sì, domerai: d’avide lenti armata,
     Com’altri suol ne’ ceruli splendori,
     Tu ne’ marcidi corpi inesorata
     L’iridi affondi e strani esseri esplori:
     Ecco, una turba immensa, innominata
     Tutti popola e infesta i nostri umori,
     E ne’ visceri stessi, ond’è nutrita,
     Congiura ingrata a disgregar la vita.