Tanti prodigi non oprò Morgante
Menando in giro il celebrato arnese,
Quanti Esperio fra questa orda arrogante
Abitatrice del cornin paese;
Ne picchiò, ne impiagò, ne domò tante
In mista pugna e in singolari imprese,
Tanto alla prova il nerbo suo s’accrebbe,
Che serve in poco e tributarie l’ebbe.
Ristette alfine il valoroso; ed ecco
Le vinte donne gli fan ressa immensa,
E chi ’l prega che metta in molle il becco,
Chi gli offre in sua magione ospizio e mensa;
Chi gli palpeggia il poderoso stecco,
E laudi e baci al possessor dispensa;
Tutte pensano alfine al tempio trarlo
Per avere il piacer d’incoronarlo.
Ma ei con umiltà: Serbate a quanti
Ne son di me più degni i vostri allori;
Abbian l’aureola gloriosa i santi
E la corona d’òr gl’imperatori:
Io che finora, e son già un pezzo avanti,
Scevro il capo recai dei vostri onori,
Ambizioso non sono, e con licenza
Vostra sia detto, posso farne senza.