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Canto settimo 161


Di sdegno ardenti al mio solerte avviso
     S’aggruppâr tutte a’ fianchi miei le amiche,
     E prorompendo in fremito improvviso
     Meco intendon durar rischj e fatiche.
     Il tumulto non odi? Orride il viso,
     Con riverenza, a Dio squadran le fiche,
     Di far giurando in quelle anime ingrate
     Quel che fecer le donne al tracio vate.

Udendo Edea così suonare a nona,
     Nè volendo aspettar vespro e compieta,
     Ogni via, pensa, ad evitare è buona
     Risse cui la ragione affrontar vieta;
     Si restringe però nella persona,
     E più di lui che di sè stessa inqueta,
     Ad Esperio, che gli occhi avea sovr’essa,
     Ammicca, e in parte il trae fuor della ressa.

E, amico, dice, il qui restar più oltre
     Non saprei consigliarti, un’ora sola:
     Con costoro lottar sotto la coltre
     Potrebbe a un qualche mascalzon far gola;
     Ma chi nel brago sensual non poltre
     E alacre in seno all’Ideal sen vola,
     Non dee, se un dio non l’ha di senno tolto,
     Restar fra liti femminili avvolto.