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Canto settimo 159


La tenerezza poi, qual dentro a vaso
     Vecchio essenza di rose o di zibetto,
     Le sta sì dentro, ch’ogni poro ha invaso
     Dell’involucro suo più che perfetto:
     Basti dire, che avendo un giorno a caso
     Schiacciato un biondo ed odoroso insetto,
     La sua commozion fu così forte,
     Che due mesi restò fra vita e morte.

Gingillina trovò, che in mezzo a un crocchio
     Di sapute matrone e di donzelle
     Sostenea che l’estratto di finocchio
     Giova a spianar la più grinzosa pelle,
     Non badando che un suo grosso marmocchio
     Le avea di dietro alzato le gonnelle,
     E additava agli astanti in piena luce
     La regia via ch’al Culiseo conduce.

A lei dice l'aralda: O tu che stai
     Tanto da noi divisa e tanto in alto,
     Fior di bellezza e di bontà, che hai
     La chioma d’ocra e gli occhi di cobalto,
     Tu che fra tanti orrendi umani guai
     Mai non sapesti del dolor l’assalto,
     Ed immersa nei tuoi rosei splendori
     Fin chi ti scopre e chi ti copre ignori,