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Canto settimo 147


Arrogi a questo, ch’alberi ed arbusti
     Non crescon rami, non educan fronde,
     E altro in sè non han che nudi fusti,
     Ma di creste erte e radiche profonde,
     Tra cui gli spazj son cotanto angusti,
     Che le barbe dappiedi o nere o bionde
     S’intesson fitte e sì lanose e belle
     Da far quasi un tappeto di Brusselle.

Assise al rezzo di sì strane piante
     Stanno le stagionate dottoresse,
     Neglette i panni, torbide il sembiante,
     Scinte il seno, irte il crin, le voci fesse,
     Ma intrepide, gagliarde e tutte quante
     Scrittoresse, ominesse, apostolesse,
     Che sostengon co’ fatti e co’ sermoni,
     Che sinonimi son gonne e calzoni.

La capa di sì nobile consesso
     È una toppona da’ capei vermigli,
     Che per obbrobrio dell’opposto sesso
     Scodellato avea già tredici figli,
     Ed a far pari s’accingeva adesso;
     E che pe’ modi bruschi e pe’ consigli
     Maschj e pe ’l tutto insiem, punto leggiadro,
     Da tutte l’altre era chiamata il Madro.