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Canto settimo 145


Sorrise, e di siffatti ondeggiamenti,
     Diss’ella, non ti dar pena soverchia,
     Che non cede a sì lievi esperimenti
     Chiunque di virtù l’animo cerchia;
     Se in ogni caso un non so che tu senti,
     E il malor già ti preme e ti soperchia,
     Basta a cacciarlo via, che tu negli occhi
     Mi guardi e del mio velo un lembo tocchi.

Quello però che nel tuo caso parmi
     Opportuno non sol, ma necessario,
     È che dal maschio volto io ti disarmi
     E celi il sesso tuo nel suo contrario:
     Chè queste donne, se ti scopron l’armi
     C’hai teco, ancor che dentro un santuario,
     Ti si gettano addosso, e per Apollo
     Con dotte svenie sùcchianti il midollo.

Però che queste impiastrascartabelli
     Dall’acre ingegno e dall’ingenua faccia
     Raffinano con l’arte i lor tranelli,
     E più sicura all’uom danno la caccia;
     Tengono questi a bada, adescan quelli,
     Scopron dove ti dorme la beccaccia,
     A levar brave ed aormar la fera
     Più che cagne da bosco e da riviera.