Apparecchiata alla pomposa scena
E ornata d’orifiamme e di ghirlande
Della città fu la più vasta Arena,
Che chiamata fu poi dell’Atto Grande;
Piantârvi in mezzo, a renderla più amena,
Una quercia, ch’avea maschie le ghiande,
Ed un alloro che tra’ rami belli
Più paja avea di penduli baccelli.
L’alba sacra alla festa alfine è chiara,
Se più chiara dell’altre ognun se ’l pensi,
Ed all’Arena, o per dir meglio all’ara,
Tutti accorron dovunque in flutti immensi;
Molti per aver posto, in aspra gara
Tra ’l pigiare e il lottar perdono i sensi;
Molti a suon di pedate e di cappiotti
V’entrano a calli pesti e a musi rotti.
Campo non fu che in quel mattin solenne
Sentì del duro agricoltor la mano;
Sciolto da’ consueti oblighi venne
Perfino il bue dall’avido villano;
Dal prender volo ogni cassier s’astenne,
S’astenne dalle cacce il pio sovrano,
Dall’erba i tauri, dalle pere gli orsi,
E i tribuni plebei dal far discorsi.