Qual cane intento a rosicchiare un osso,
Senza l’opra lasciar digrigna i denti,
Sol che un simile suo di lui men grosso
Farglisi accosto e riguardar si attenti;
Così non di pudor ma d’ira rosso
Ai quattro araldi a riverirlo intenti,
Senza punto lasciar l’opra interrotta,
L’irsuto Barabal freme e borbotta.
Ma coloro, che il san lubrico all’ira
E san che l’oro i più ribelli acqueta,
Tratta fuori di sacca un’aurea lira,
Fan ciò che a Tebe il Niobeo poeta;
Come il suon ode e il buon metallo ei mira,
Non pur la ghigna spiana e il core allieta,
Ma sorge lesto dall’olimpio trono,
E allegro sculettando accetta il dono.
Saputo poi, che nell’orrenda lite
Egli è dalle due parti arbitro eletto,
Rimasticando le proposte udite,
Il ciglio aggronda, e mugghia alfine: accetto;
Poi confortato il sen con l’acquavite,
Narra la fama, egli si pose a letto,
E il cervel si stillò con tale ardore,
Che quel dì non russò più di dieci ore.