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110 Atlandide


Bench’io non sappia ancor donde venisti,
     Nè t’abbia vista mai, tranne che in sogno,
     Sappi, che da quei dì che il cor m’apristi,
     Più che un bicchier di malaga t’agogno;
     Or che un dio qui t’adduce, ah non c’è cristi,
     lo ti metto dinanzi il mio bisogno,
     Io ti caccio la man sotto il guarnello,
     E muojo a’ piedi tuoi come Rudello!

Vòlta al compagno, che dal rider tanto
     Le mani ai fianchi e il pianto agli occhi avea:
     Noi non farem da testimonj intanto
     A un bacio tal, disse ridendo Edea;
     Lasciamo al mostro ameno il gusto e il vanto
     Della conquista che il buon vin gli crea,
     E a lui tutte le sere in forma tale
     Scenda l’eterno femminin regale.

Degli altri alunni suoi, però che doppia,
     Come già tu conosci, è la sua scuola,
     Mostrar ti voglio l’erudita stoppia
     Di cui la fama ai quattro venti vola:
     Strana razza vedrai, che il mondo alloppia
     Con gli atti, col pensier, con la parola,
     Larve che di zavorra il capo han pieno,
     Di fiele il labbro e di superbia il seno.