Quell’ebbra ciurma, che di rutti infesta
L’aure, è dei Fauni il lascivetto stuolo:
Un fallo inciprignito hanno per testa,
Paonazze le guance e un occhio solo;
Basta il fruscio d’una femminea vesta,
Perchè tacchineggiando aprano il volo,
E cantino in gentil chiave di ciuco
Il poter di San Cresci e di San Buco.
Lor capitano è un satiro impudico,
Che di Parnaso a’ primi posti agogna;
Tutto cinto è da foglie ampie di fico,
Perchè sa d’esser tutto una vergogna;
Suo studio e casa è un lupanare antico,
E cimiterio suo sarà la fogna,
Dove ancor vivo il caccerà, con gioja
Di tutti i buoni, a via di scopa il boja.
Seguono a questi fauni impertinenti,
Che non pure a virtù drizzan l’offesa,
Ma tengon servitù d’eunuche menti
L’umile ortografia serbare illesa,
I Preraffaelliti e i Decadenti,
Che l’immagin d’Onano han per impresa,
E con processo fino a ieri ignoto
Son riusciti a cesellare il vuoto.