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Canto quinto 105


Quell’ebbra ciurma, che di rutti infesta
     L’aure, è dei Fauni il lascivetto stuolo:
     Un fallo inciprignito hanno per testa,
     Paonazze le guance e un occhio solo;
     Basta il fruscio d’una femminea vesta,
     Perchè tacchineggiando aprano il volo,
     E cantino in gentil chiave di ciuco
     Il poter di San Cresci e di San Buco.

Lor capitano è un satiro impudico,
     Che di Parnaso a’ primi posti agogna;
     Tutto cinto è da foglie ampie di fico,
     Perchè sa d’esser tutto una vergogna;
     Suo studio e casa è un lupanare antico,
     E cimiterio suo sarà la fogna,
     Dove ancor vivo il caccerà, con gioja
     Di tutti i buoni, a via di scopa il boja.

Seguono a questi fauni impertinenti,
     Che non pure a virtù drizzan l’offesa,
     Ma tengon servitù d’eunuche menti
     L’umile ortografia serbare illesa,
     I Preraffaelliti e i Decadenti,
     Che l’immagin d’Onano han per impresa,
     E con processo fino a ieri ignoto
     Son riusciti a cesellare il vuoto.