Egli il duce, il maestro, il papa, il nume,
Poichè non ha mai l’anima tranquilla,
Bofonchiando sen vien con un costume
Tra di porco selvaggio e di gorilla;
Nel ventre osceno, in mezzo al sudiciume
E al folto pelo, un bieco occhio gli brilla;
Nè altr’occhi ha in capo; onde la sua sembianza
L’orridità di Polifemo avanza.
Vedi quei due, che stretti a lui daccanto,
Come a San Rocco i due famosi cani,
Gravi, solenni e ringhiosetti alquanto
Par che dicano: Lungi ite, o profani?
La lor cotidiana opra, il lor vanto
È di leccare a lui gl’ispidi arcani:
Per questo appunto, a’ suoi capricci intenti,
Portan la lingua penzolon fra’ denti.
Ad altro mai fuor che all’ufficio sozzo
Questi due tristi non si fan mai vivi,
Nè mai per altro fine aprono il gozzo
Che per latrare al mostro inni festivi:
Contenti assai, se d’alcun duro tozzo
Le lor trippe digiune egli ravvivi,
Beati oltre ogni dir, se a lor benigno
Ei gitti in piazza un amichevol ghigno.