Prende poi grammi sei del vecchio strutto,
Onde Orazio ad Augusto unse il crescione;
Con mezza libbra di latin costrutto
E di latina prosodia li pone;
Poi di pepati aggettivuzzi il tutto
Spolvera, e lo rimesta in un teglione;
Fatto infine un paston lungo un buon metro,
L’unge ben d’olio, e se lo schiaffa dietro.
Distendendolo poi sopra un tagliere,
Lo maneggia, lo spiana, il taglia a fette,
E queste fette, lunghe a suo piacere,
Le assola a quattro a quattro in forme addette;
Indi a bagnomaria, com’è dovere,
Nella pajuola a cuocere le mette,
E per dolciumi prelibati e rari
Le serve calde ai gonzi ed ai compari.
Ma già di grida fragorose i cupi
Alvi suonan dell’antro; ecco, ecco i suoi
Fidi: han d’uomini aspetto, urli di lupi,
Servilità di pecore e di buoi,
Volti o ceffi di corno, anzi di rupi,
Canini i denti ed asinini i cuoi;
Muovono dietro a lui col capo fitto
Al suol, le mani a terra e a buco ritto.