dente, riferendo le sue meditazioni sul secondo versetto del primo capitolo del Genesi, e singolarmente sulle parole ch’egli cita così; «Terra autem erat invisibilis et incomposita», glorifica con entusiasmo Iddio che gliene ha rilevato il senso arcano. Nel significarlo gli scoppiano dal cuore accenti quasi intraducibili di preghiera, di gratitudine, di ammirazione; e io confesso non conoscere pagine di scrittore antico o moderno in cui una speculazione metafisica così eccelsa mandi per le regioni più alte del pensiero umano getti lirici così potenti. Nella «terra incomposita et invisibilis» egli ha ravvisato una sostanza di cui non può dire se sia materia o spirito, una sostanza senza forma però capace di tutte le forme che verranno prendendo successivamente i corpi, causa, per meglio dire, delle loro variazioni continue, sempre permanente in esse. Qnesto «informe quiddam» per virtù del quale tutti i corpi passano di forma in forma, che non è visibile, che non è corpo, che non è spirito, che è e non è al tempo stesso, tanto da potersi chiamare nihil aliquid, non ha esso alcuni caratteri di ciò che noi moderni chiamiamo forza? Non sarebbe questa la vis essentialis di Wolf, il nisus formativus di Blumenbach, il principoi senziente organizzatore di Rosmini, la innere Ursache di Kolliker e di Wigand, la unk-