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clinato all’idea religiosa quantunque il Dio delle religioni positive non sia per lui che un vertebrato allo stato aeriforme, ammetta un problema unico fondamentale dell’universo invece di due o di sette. Sta in ogni modo che la conoscenza umana dell’universo ha limiti naturali dove gli uomini freddi come il professore di Berlino si fermano e gli uomini ardenti come il professore di Jena si gittano in braccio a una fede, sia pure di loro conio, sia pure nella virtù divina dell’etere o degli atomi. Il naturalista, per dirla con Du Bois Reymond, è avvezzo da lungo tempo a recitare con virile rassegnazione, ogni giorno, il suo ignoramus, ma l’ignorabimus a cui gli conviene di piegarsi è molto più duro. Questo residuo di dolore intellettuale non convertibile in gioia è amarissimo e invece di stimolare l’intelletto ne affievolisce l’ardore se l’intelletto non soccorre a sè con qualche ristoro cui la scienza non ha in suo potere.

Odo qui rispondermi da coloro che professano il solo culto della scienza: «Noi siamo uomini, conosciamo la nostra natura e la nostra sorte, le accettiamo da uomini e in questa disposizione stoica dell’animo nostro è la nostra pace, è il nostro conforto, è il rimedio sovrano di ogni nostro dolore, Vi è ancora, del resto, tanto cono-