gica. Allo stesso modo, signori, l’amore del Vero nella sua più sublime forma è come il fiore di un desiderio radicato nell’intelletto nostro tanto profondamente quanto son radicati nell’organismo i suoi normali appetiti e che, non soddisfatto, genera pena; del medesimo desiderio che cruccia il bambino se non rispondete ai suoi bramosi perchè, cruccia infinite donnicciuole, infiniti uomiciattoli se falliscono nella indagine delle faccende altrui, cruccia l’amatore di quegli enigmi che si propongono per gioco e trastullo, se non riesce a decifrarli. Il disinteresse di questi desideri non è che apparente. Tutti hanno uno stimolo di dolore e meglio vale a giudicarne colui che più è posseduto dalla passione scientifica, che più avrebbe sofferto di non potersi dare agli studi, di non poter prender parte alla lotta per la luce. Ov’egli sottoponga sè stesso ad un’analisi severa giungerà facilmente a sceverare dalla religiosa devozione alla Verità obbiettiva e dalle ambizioni di gloria questa cupidità di sapere, questa fame dell’intelletto che diventa penosa se non si appaga e ch’è profondamente egoistica perchè più si appaga della ricerca che del possesso del Vero.
Fin qua io Vi ho ricordato, signori, certi beneficii recati alla scienza dal dolore come suo stimolo. È ben superfluo indicare a voi quei molti