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ciateli così all’ingrosso e metteteli al fuoco di legna in una caldaia di rame non stagnata e non abbiate paura perchè l’acido non attacca il rame se non quando è fuori del fuoco e perde il calore dell’ebollizione. Se non fosse così, io avrei sentito i sintomi del veleno almeno un centinaio di volte. Quando saranno cotti disfatti versateli in un sacco a spina ben fitto tenuto sospeso e gettata che abbiano l’acqua passateli per istaccio onde nettarli dai semi e dalle buccie strizzandoli bene.

Lavate con accuratezza la caldaia e rimetteteli al fuoco per restringerli quanto basta, e per conoscere poi il punto preciso della consistenza che deve avere la conserva (e qui sta la difficoltà) versatene qualche goccia in un piatto e se vedrete che non iscorre e non presenta sierosità acquosa all’intorno, vorrà dire che codesto è il punto giusto della cottura.

Allora imbottigliatela e anche qui avrete un’altra prova della sua sufficiente densità, se la vedrete scendere con difficoltà per l’imbuto.

Le bottiglie preferitele piccole per consumarle presto; ma possono star manomesse anche 12 o 13 giorni senza che la conserva ne soffra. Io mi servo di quelle bianche che vengono in commercio coll’acqua di Recoaro e in mancanza di queste, di mezze bottiglie nere da birra. Turatele con tappi di sughero messi a mano, ma che sigillano bene e legateli con ispago, avvertendo di lasciare un po’ d’aria fra il tappo e il liquido. Qui l’operazione sembrerebbe finita, ma c’è un’appendice la quale benchè breve è pur necessaria. Collocate le dette bottiglie in una caldaia framezzo a fieno, a cenci o ad altre cose simili, onde stieno strette fra loro, e versate nella caldaia tanta acqua che arrivi fino al collo delle bottiglie e fatele fuoco sotto. State osservando che presto il tappo delle bottiglie darà cenno