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250 | ARS ET LABOR |
sedette subito al fuoco, attizzandone bruscamente la sonnolenza collo zoccolo dei suoi calzari a brandelli, mentre i suoi ospiti stavano a guardarlo sbalorditi, senza favella.
Anch'egli durava muto; ma i suoi sguardi presero tosto a errare senza tregua, in basso, in alto, per la stanza, pieni di una vaga inquietudine, fissandosi su di essi stranamente, in sospetto. Occhi profondi e selvaggi, d'uomo che vive in aspra solitudine, parevano ricercare in ciò che gli stava d'intorno una promessa di tranquillità e di riposo.
“Cammino dall'alba di stamane,„ — disse d'un tratto, rinfrancato dall'aspetto dei suoi compagni, mentre senza cerimonie si scioglieva dai piedi le bende fradicie che glieli fasciavano: — “voi, signori, siete venuti quassù a spasso... Io vengo dal Bernina, e vado al piano...„
“Ah, così?... E solo?...„
“Solo!...„
Dal di fuori, intreccaito al fischio del vento, giungeva ad intervalli il ciondolar rauco di un campano, a cui rispondeva un belar pauroso di pecore ad ogni scroscio di pioggia. Istintivamente, la donna s'era serrata al braccio del suo amico, e entrambi, con un senso di sgradevole sorpresa, stavano a osservare lo strano ospite che la burrasca aveva loro mandato.
“Mandalo via..., mandalo a dormire!...,„ — sussurrava essa, presa un vago sgomento: — “ho paura!...„
L'uomo era superbamente bello:un corpo d'atleta, nudrito di vivida aria e di luce, disseccato nel disagio d'una vita errante e nuda. Una sottile barba nera e crespa gli coronava il viso scarno e fiero, bruciato dalla montagna, su cui due occhi fulminei accendevano una fiamma di sofferenza indimenticabile. Una singolare nobilità era in tutto il suo aspetto, invano avvilita dalla misera del suo stato.
Egli parve avvertite il senso di inquietudine che la sua presenza destava in quei due, poiché, d'un tratto, la sua faccia corrucciata si spianò in una compostezza di linee, quasi in una serenità ferma e cosciente di tutto l'essere. Il suo sguardo, prima torbido, si fissò du di essi colla attenzione carezzevole e malinconica di chi scruta e crede di vedere in altri ciò che risponde a un crudo rimpianto dell'anima sua.
“.... Siete sposi?...,„ — domandò a bruciapelo, inghiottendo a stento un boccone del suo pane bigio.
Poichè essi tacevano, guardandosi muti e allibiti, egli abbassò gli occhi, colpito da un'idea fulminea, rabbuiandosi tutto. Il pane gli si era fermato nel gozzo: non voleva andar giù. Bevve a larghe sorsate dalla sua zucca l'ultimo avanzo di sidro, e tornò a fissarli, la bocca sfiorata da un sorriso indefinibile, che fece rabbrividire la donna.
“È andato!...„ — disse, battendosi violentemente il pugno su petto, come chi si sente libero da una soffocazione: — “... Ma ne ho ingoiato di più duro!... Questo è focaccia!...„ — soggiunse, seguendo il filo di un pensiero rinascente.
In quella allusione e in quella reticenza era certo lo spunto di un ricordo che gli accendeva il sangue, perchè gli occhi suoi si sprofondarono nella fiamma, sfuggendo alla tentazione ormai sovraeccitata dei suoi ascoltatori.
“Che vita, pover'uomo!...„ — sospirò con un filo di voce compassionevole la donna, cercando negli occhi il suo dolce amico, con tutto l'egoismo della sua felicitò.
Il pastore la fissava profondamente: un sarcasmo terribile passava alla sua faccia.
“Sei giorni ancora mi restano per giungere ai chiusi...„ — soggiunse per stornare il pensiero da un tormento.
“...E a primavera?...„
“Si rifà il cammino...„
“Sempre solo?...„
“...Solo!...„
“Non avete nessuno?...„
Egli scrollò fieramente la testa: la sua pupilla mandò un guizzo verde, d'odio implacabile.
“No!... Nessuno!... Ho le mie pecore,... che non mi tradiscono... quando l'orso non me le divora!...„
Queste parole furono dette con una calma spaventevole. Egli stesso ne parve accorto, perchè si levò di scatto, volgendo le spalle al fuoco.
Una smania malsana di palesarsi a quei due felici lo aveva assalito d'un tratto con violenza brutale. Colla disgraziata sensibilità che il peccato della sua vita gli aveva infuso nei nervi, egli pareva ora giutare in essi l'odor tristo di quel peccato istesso, che lo aveva condotto a perdizione. Tutti i suoi istinti divamparono selvaggi in una sensazione quasi refrigerante di vendetta perversa.
Passò un istante di silenzio profondo, in cui si sarebbero potuti contare i battiti del cuore di ciascuno. Il pastore, ch'era rimasto immobile nel mezzo della stanza, levò la testa fieramente, sfavillò d'intorno il suo sguardo indagatore, parve raccogliere tutte le sue forze alla riscossa.
“...Perchè sono solo?...„ — ruggì colla voce cupa e terribile d'una fiera rivolta: — “Ebbene: ve lo debbo contare?... Ho passato venti anni a Tremiti!...„ — E tacque, sbalordito di ciò che gli era uscito di bocca, mirando fisso coi suoi occhi magnetici nei profondi occhi della donna, velati di un subito affanno.
Nessuno dei sue si scuoteva: nessuno parlava; — stavano immobili, la bocca spalancata, a guardarlo. Non capivano?
“Sul mare...„ — incalzò i pastore, con una calma feroce: — “alla galera... Sono uscito in febbraio...„
Ella gettò un grido di terrore, avvinghiandosi disperatamente al suo amante.
“Un assassino!...„ — mormorò questi, sorgendo d'un tratto, a farle scudo di sé stesso, colpito dalla mostruosa visione.
Il crepito lieve di un corpo che si ravvoltola sulla paglia ruppe il silenzio mortale di quegli attimi di attesa: — un colpo di tosse partì dal dormitorio.
“Assassino, no!... signore mio!...,„ — disse il pastore, cotono insinuante e fiero: — “ho difeso il mio onore... dal lupo!...E ho fatto bene!...„
“Avete ammazzato?...„
“... E li ammazzerei ancora,... se tornassero vivi!...„
“... Tutti e due?!...„ — urlò con voce disperata il giovine.
“... Tutti e due!... Li ho colti!...„