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— O salienti dai marini pascoli,
vacche dal cielo, grigie e bianche nuvole,
versate il latte da le mamme tumide,
al piano, al colle che sorride e verzica,
a la stessa che mette i primi palpiti.
Così cantano i fior che si risvegliano,
così cantano i germi che si movono
e le radici che bramose stendonsi;
così dall’ossa dei sepolti cantano
i germi della vita e degli spiriti1
È un momento novo, un’ora di risveglio, un palpito di nove opere fresco e rude come il soffio dell’aria ancora frizzante e come l’impeto del vento che scuote gli alberi nelle foreste e al quale vollero questo mese dedicato quei foschi avi di Francia che, or sono cento anni circa, giudicarono, a compiere l’opera della loro grande Rivoluzione, necessaria una rinnovazione totale della vita, nè già della politica soltanto, ma pur della civile: del costume, cioè, e delle forme e dei nomi stessi delle cose.
Nè chiederete certo a me la ragione di quel multànime inno delle cose, perchè voi la indovinate, la sentite anzi in voi stessi e intorno a voi, e perchè con altre parole io non vi risponderei che con quelle del soave cantor d’amore e di dolore romano:
Ecco, ciò che fu avvolto dai geli invernali or si mostra,
ed al tepido sol lenevi sciolgonsi,
e ritornan le foglie dal freddo rapite alle piante
e su i tenneri rami s’apron le gemme vive,
e quel che lungo tempo s’ascose or nell’aria si schiude
e l’erba feconda trova le occulte vie.
Ora è fertile il campo; d’amore or è tempo pel gregge,
e l’uccello su i rami or s’apparecchia il nido2
Avete fatto una corsa in campagna in questi giorni? Oh! è tanto opprimente la vita cittadina, è così povera d’aria e di sole! Vi avvedete a pena che l’inverno sia finito; la primavera novella non ha modificato nulla il vostro costume di vita; le cure affannose vi hanno impedito di udire il primo bisbiglio delle rondini, di sentire quell’anèlito dei germi, delle radici, delle linfe, delle cose tutte verso il sole eterno padre fecondo.
Le rondini?
Sì. Uscite un poco di città, arrivate fin nell’aperta campagna, camminate innanzi, lasciando errare lo sguardo intorno, e lo spirito su la traccia rosea del sogno e delle vagabonde vostre fantasie. Voi lo sapete bene:
È dolce cosa vivere obliando |
Guardate dunque. Il cielo è limpido e terso come poche volte lo avete veduto; il piano è tutto verde, d’erbe nove i prati, di tenere novali i solchi; e tra il verde spiccano rossi fiori del trifoglio e occhieggiano timide le primule. Che se vi chinaste un poco, e cercaste con la mano, scoprireste facilmente, nascoste ma olezzanti soavissime, le mammole. Guardate ancora, più lungi nel piano. Vedete laggiù quegli alberi tutti fioriti d’un color vermiglio pallido? Sono i pèschi che vi saranno nel biondo autunno i loro frutti vellutati e saporosi; e quegli alberi coi rami coperti di fiori bianchi sono meli, e mandorli quelli altri candidi più che neve, e cornioli quelli dai fiori gialli come l’oro. E tra i pèschi e i meli e i mandorli, su i trifogli e su la novale, larghi giri festosi tessono e ritessono le rondini ritornate col primo tepore del sole da terre lontane.
⁂
Rondini, ben venute. Non così ilari e gàrruli potremmo noi gioire di questa improvvisa fiorita che rallegra a voi il piccolo cuore; nè voi potreste capirne il perchè. Ma se questo sorriso bianco e vermiglio delle piante ci allieta lo sguardo, in fondo al nostro vecchio cuore
un'eco di tedio risponde |
I pèschi i mandorli i meli gioiscono della vita nova che corre per le zolle e influisce con tepide linfe pei córtici del loro tronco, ed esprimono la loro sùbita gioia, avanti ancora che le foglie si schiudano, in questa esultanza di fiori variopinti? Oh, piccole rondini, e noi sappiamo di altre, di molte altre piante che fiorirono sùbite nel primo palpito di vita che le scosse e le animò, che trionfano con i loro fiori bianchi e vermigli e dorati, prima che le foglie spuntassero, prima che la vita fluisse e rifluisse prima ed intera pei loro còrtici! Non sapete? sono le anime nostre, o rondini; le nostre anime umane che si aprono alla vita con un giocondo inno, in una meravigliosa fiorita di speranze bianche, di impeti vermigli, di sogni d’oro; ed era intorno ad esse il palpito vasto della vita universale, era davanti ad esse ed intorno un trionfo superbo di luce, di canti, di gioia. Non erano per anco spuntate le foglie; la vita era in essa ancora acerba; ma si nutrirono esse di quelle speranze e di quei sogni, per quelli soli vissero e palpitarono. Voi vedrete, rondini pellegrine, quei fiori tremolare paurosi al primo soffio vigoroso di vento, e li vedrete, a poco a poco, cadere a’ piedi dell’albero, scintillando nella luce del sole. Anche quelle speranze, quelli impeti, quei sogni caddero a uno a uno al soffio delle arie fredde e vigorose della vita, al soffio della realtà trista e severa; e solo pochi rimasero, in chi più in chi meno, ma pur sempre pochi, e ognuno di noi se li tiene stretti stretti sul cuore, perchè non cadano, perchè non sfioriscano anch’essi.
Tutto ricorda, tutto |
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