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i due amici... più fedeli.fra loro in ogni generazione rese cronici nel guittismo, essi fecero invece un'arma e una gloria, tanto più significative nell'età nostra in cui le moltiplicate e migliorate comunicazioni tolgono di mezzo i più gravi inconvenienti della vita errante, e in cui gli stessi attori accademici d'oltr'alpe sentono il bisogno di viaggiare a loro volta per rompere in breccia contro la monotonia del gesto e del pensiero nazionale.

Dalla vita errante, più che da ogni altra virtù ereditaria, attinse Teresa Mariani le ragioni essenziali della sua recitazione.

— Voi critici italiani — mi diceva lo scorso dicembre — non vi muovere mai dal vostro guscio e poi ci stroncate nei vostri giudizi sommariamente, quando vi passiamo dinanzi in una delle nostre brevi soste in patria. Se volete provare un vero fremito d'orgoglio, seguiteci. Oltre i confini d'Italia le nostre persone spariscono dietro il significato dell'arte. A Barcellona, a Madrid, al Cairo, all'Avana. al Messico quando mi volevano portare in trionfo e piogge di cartellini tricolori accoglievano le mie interpretazioni e quelle dei miei compagni, ho vissuto come in un mondo diverso, battendo anch'io le mani, rispondendo con voci di entusiasmo alle voci del pubblico, come se non si trattasse di me...

la visita della mariani ai lavori dell'esposizione.

Era la stessa enfasi ingenua che dettava alla Ristori nei suoi Ricordi e studi artistici quest'altra visione nostalgica di vita errante: “Il cambiare così sovente di pubblico aveva grandissimi vantaggi, Quel potere non ha sovra una mente creatrice d'artista quel vivo e continuato fascino del pubblico... Ne avevo sempre davanti a me uno nuovo, cui facilmente scuotevo a mio grado, e il quale, grazie alla corrente magnetica, che prontamente si stabiliva fra noi (condizione necessariissima per me) mi comunicava quelle scintille che completano l'artista, e senza le quali ogni studio porta l'impronta dell'orridezza, della deficienza„.

Quando, sempre nello scorso dicembre, Teresa Mariani al teatro Manzoni di Milano volle rappresentare Una sfumatura (Je ne sais quoi), la fine commedia parigina del de Waleffe, tutta la critica le fece un concorde appunto giudicando che ella esagerasse le movenze e la mimica maschili della miss nord-americana passata a nozze con il ricco marchese d'Evieux e venuta ad abitare la capitale francese. Era un pochino la storia di quel benedetto “guscio„ dal quale i critici si muovono troppo raramente; e l'attrice respinse l'eccesso del giudizio con queste semplici parole: “Il mio personaggio io l'ho veduto, osservato, al di là dell'Atlantico: voi no. Vi manca dunque un termine di confronto necessario all'esame di quella mia interpretazione„.

la mariani nei cantieri dell'esposizione. L'età classica dei ruoli è finita. I ruoli imitavano sulla scena quella quasi matematica delimitazione delle classi e delle professioni che per qualche secolo fu la forza gerarchica delle monarchie europee, imitavano quella rigida architettura della famiglia cristiana che negli stessi secolo s'immedesimò con il significato della morale.

Ora tutto è mutato, le classi, scosse del moto ascendente del proletariato, hanno perdute, o quasi, le loro frontiere: la famiglia sensibilmente si eleva dal dogma all'ideale senza confronto più vasto di una morale umanitaria e cosmopolita, dove smettono ogni significazione le madri nobili, le prime donne, i primi amorosi, i brillanti, i caratteristi, le ingenue, gli attori giovani00 della nomenclatura prima aristocratica poi borghese. E quanto la vita abbandona, il teatro, che di quella è specchio, non può più a lungo conservare.

La nuova scena vive con la eccezionale varietà dei suoi generi nel repertorio (il pubblico applaude sovente con lo steso entusiasmo i versi squisitamente romantici del Rostand nel Cyrano di Bergerac e la prosa incisa nel bronzo dal realismo terribile del Mirbeau in Gli affari son gli affari), vive con la versatilità nella interpretazione la