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TERESA MARIANI


Fotografie Varischi, Artico & C. - Milano


Se ci muoveremo un giorno in un'altra orbita drammatica che più sia teatro e meno letteratura, se avremo trovato alla lingua un nuovo equilibrio (come già il Leopardi, percorrendo con volo d'aquila, discuteva fonetiche e stilistiche e gli atteggiamenti del pensiero contemporaneo, se il dialogo avremo fatto agile, per la scena specialmente, nella rincorsa d'ogni modernità, noi dovremo valutare (molto meglio di quanto oggi si faccia e nella lode e nel biasimo) le forze portate a questa rinascita dei comici, che sono da secoli una parte così viva dell'anima italiana e i depositarii sicuri, perchè istintivi, d'ogni sincerità nostra.

Oggi la lode e il biasimo sono troppo spesso — per necessità di cose più che per intenzione degli scrittori — travolti dalla cronaca spicciola dei giornali nella notte di una prima rappresentazione, immedesimati con la febbre che vieta ogni più discreta ruminazione intellettuale, sacrificati nelle riviste alla vanità formale dell'illustrazione fotografica. E il comico, così mobile per sua natura nella graduazione delle attività artistiche, trova difficilmente, per chi legge, i suoi punti di contatto, le sue ragioni di discendenza secolare, le sue concordanze con i fenomeni della vita che gli si agita intorno, che lo plasma e n'è plasmata. teresa mariani. Per quanta parte ancora del pubblico l'età della commedia a soggetto non è stata che una espressione caduca, una parentesi volgare, nella storia del teatro nostro? Ma la critica moderna ha concordemente concluso, sulle più pazienti e scrupolose indagini, che quei comici inventori di maschere e improvvisatori di commedie permearono con la festività loto tutto il mondo drammatico contemporaneo, ne furono la voce caratteristica là dove il canto alla scena togata, si richiedeva una più diretta ed intima interpretazione della risata popolare, e costrinsero anche i più forti ingegni ad assimilarsene la vitale evidenza dei colori e dei caratteri: dal Moliére che sui canovacci italiani e sulle smorfie di Arlechino-Biancolelli preparava gli atti brevi e creava il genere della comédie-ballet, come ricreazione del pubblico tra l'una e l'altra grande battaglia, al Goldoni che, pur infondendo nel repertorio la convinzione di una crociata contro gl'improvvisi, tratteneva sul palcoscenico tante voci di quella naturalezza festaiola e di quei pettegoli rabbuffi per tessere il dialogo alle sue comari ed ai suoi burberi. — Per quanta parte del pubblico la vita errante dei comici italiani non è che un indice della loro miseria, una prova di inferiorità che i “senza tetto„ della scena nostra svelano nel confronto con le meccaniche eleganze di certe scene stabili straniere? Ma un esame più attento di tutta la storia drammatica paesana ci dà al contrario il diritto di conchiudere che da quella vita errante (resa necessaria da noi dov'è sempre mancato l'accentramento teatrale di una grande dominante metropoli) i comici ebbero, insieme con le deficienze della scenica eleganza, il prodigioso caleidoscopio della loro scienza improvvisa ed assimilatrice, ebbero il dono sovrano della versatilità che li fece di sera in sera emigrare non solo attraverso alle piccole città ed ai piccoli villaggi, ma anche attraverso alle innumerevoli anime di quei pubblici sempre diversi. E di quella che per i comici pareva la condanna fatale, e molti