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nezza delle guancie e nell’espressione degli occhi un non so che di giovanile, che faceva strano contrasto colla bianchezza argentina dei capelli e delle sopracciglia: quegli occhi, a vent’anni, dovevano essere stati lampeggianti se a novanta conservavano ancora tanto fuoco.

Accanto a lui, col gomito appoggiato al bracciolo della sua sedia, sedeva una donna di mirabile bellezza, che non mostrava più di venti o vent’un anni.

Un bell’uomo, serio serio, in piedi, volgeva le spalle al camino, tenendo le mani raccolte dietro il dorso. Egli, con voce monotona, e con sussiego diplomatico, andava discorrendo di politica agli altri due, che pareva non prestassero troppa attenzione alle sue glaciali parole.

La bella, infatti, chi l’avesse osservata attentamente, si sarebbe accorto che era astratta in un pensiero estraneo al discorso di quell’uomo; quantunque la si sforzasse di sembrar calma, ella si trovava in quel punto sotto l’influenza d’una preoccupazione tormentosa. I di lei occhi, bellissimi, grandi, ombreggiati da lunghe palpebre, si volgevano di quando in quando ansiosamente all’uscio pel quale dovevano entrare i convitati; e, insieme allo sguardo, pareva che ella tendesse furtivamente anche l’orecchio, quasi per udire da lontano l’arrivo di chi aspettava.


La bella inquieta era più che bella; era affascinante.