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— Qual festa? — domandò Niso.

— Diamine! La celebrazione della vincita.

— Che cosa fai conto di fare?

— Una cena nabuccodonosoresca, in cui dovranno uscir più turaccioli dai colli delle bottiglie che non uscirono palle dalle bocche dei cannoni francesi alla battaglia d’Austerlitz.

Niso crollò il capo.

— Non ti piace?

— No.

— Perchè?

— Perchè so che domani gli ufficiali di guarnigione fanno anch’essi una cena.

— Ragione di più per farla allo loro barba coi denari di Francoforte.

— Ebbene ci verrò anch’io, ma a un patto. Ch’io sia dispensato dalla seccatura di condurre una dama.

— Sia! Come papà ti permettiamo di venir solo.

— Ma faccio osservare — disse Gustavo — che saremo in tredici.

— È vero! Viva il tredici! — sclamò Emilio — Saremo in tredici e ci staremo alla barba dei pregiudizi.

E levandosi soggiunse:

— Domani mattina dal tabaccaio vi lascerò per tutti l’ora e il luogo dove dovremo trovarci.

Poi voltosi a Gustavo soggiunse:

— Adesso andiamo a liberar Teodoro.