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ventitrè anni egli era riuscito, a farsi credere cinico e privo di cuore.

Questo abito di stanchezza morale, questa simulazione di malvagità, avrebbe finito a farlo spregevole, se di sotto a quella maschera non fossero, quasi suo malgrado, trapelate le naturali qualità d’un’anima tutt’altro che stanca, tutt’altro che malvagia.

L’ira — questo peccato mortale che è pur la chiave per iscoprire tante virtù nascoste — l’ira, che meno di qualunque altra passione soffre di essere dissimulata, giacchè, veloce come il turbine, irrompe dal ciglio prima che la ragione sovrana valga a trattenerla, l’ira lo avea tradito. Ira santa, perchè suscitata dal più santo fra i sentimenti dell’anima umana, dopo l’amore della patria, il rispetto alla donna.

S’era battuto in duello per vendicare un oltraggio a duna sconosciuta.

E a udirlo si sarebbe detto che egli fosse il più feroce bestemmiatore della virtù femminile, che fosse al mondo.

Quel duello — di cui aveva tentato di falsare la nobile causa anche ai suoi padrini — fu per Niso e Gustavo una rivelazione. Essi che aveano cominciato a crederlo, davvero isterilito di cuore, essi che s’immaginavano che lo splendido coraggio, onde s’era fatto un nome nei giorni delle battaglie, non fosse effetto che della cinica spensieratezza della sua anima desolata, si persuasero che tutto quell’apparato di indifferenza non era che dissimulazione e millan-