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Contuttociò il foriere — il quale ogni volta che gli rimetteva il suo danaro trovava in lui una serietà e un malumore insolito — non sapeva che cosa pensarne.

— Che bell’originale! — soleva dire ad un caporale suo amico — E’ sembra che gli dia degli schiaffi, non de’ bei marenghini sonanti.

A cui il caporale faceto non aveva mancato di rispondere:

— Sarà forse che gli parranno pochi!

Una volta il foriere, per prova, tenne il denaro in mano, come se si scordasse di rimetterglielo.

Emilio non fiatò. Pareva non avesse mai aspettato denaro di sua vita.

Il foriere credeva di sognare.

A Niso, che una volta gli chiese d’onde gli venisse quell’assegno mensile, rispose:

— Dal tutore.

E troncò ogni nuova domanda intuonando a piena gola la canzone del bersagliere.

Da quel giorno Niso e Gustavo aveano rispettato religiosamente il suo segreto. E nei quattro anni che seguirono nè essi gli avevano mosso più una sola domanda, nè egli avea loro data alcuna spiegazione.

Da tutti gli indizii però i due amici aveano conchiuso col credere che egli fosse un trovatello.

Le mie lettrici, che ne sanno già più di Niso e di Gustavo, l’avranno già indovinato da un pezzo.

Emilio era infatti un trovatello.