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ch’ei ne pensasse in cuor suo. Il tabaccaio, quantunque avesse ottenuta la dispensa dalla sovrana degnazione, rispose schietto alle prime due domande: essere le abitudini e i discorsi de’ suoi sette fumatori la cosa più innocua di questo mondo; quanto alla terza si guardò bene di esporre l’animo suo, e rispose crederli bravi giovinotti, che per riguardi economici avessero scelta la sua bottega invece d’un club o d’un caffè...

Era stato congedato colla solita raccomandazione di tenerli d’occhio, e di riferire sulla loro condotta.


La mattina del giorno 3 febbraio 1853, che era un giovedì — vale a dire circa 24 anni dopo la scena raccontata nel prologo — cinque dei sette... trovavansi radunati nella bottega intorno al braciere, e, tranne uno, fumavan tutti.

Erano più serii del solito; giacchè è bene sapere che, quantunque nel corso dell’anno gli scrosci di risa, le arguzie e le stramberie, che uscivano da quelle bocche si avrebbe durato fatica a contarle, pure di regola erano molto serii.

La conversazione annuvolata e profumata dalle quattro pipine, ancora incerta come il volo della falena, che non sa su qual fiore posarsi, s’era finalmente adagiata in quell’eterno argomento da scapigliato: i debiti. Ora voi avreste trovato difficilmente in tutta Italia una mano di giovani più profondamente e più coscienziosamente versati in tale materia.

Un d’essi stava raccontando agli altri di un dia-