Pagina:Arrighi - La scapigliatura e il 6 febbrajo, Milano, Redaelli, 1862.djvu/303

un coltellaccio, aveva tagliate le tirelle dei cavalli, e fatto smontar il cocchiere gli comandava di allontanarsi. I viaggiatori che si trovavano nel carrozzone ne erano già discesi spaventati, e si sparpagliavano fuggendo nelle vicine contrade.

— Un’arma! datemi un’arma! — grida Emilio ad uno dei quattro insorti, tendendo le mani vuote.

— Viva il signor Digliani! — gridò uno di essi mentre rovesciava l’omnibus attraverso la strada.

— Ecco l’arma; — disse un altro porgendogli una sciabola — Noi lo aspettavamo. Laggiù avranno bisogno di lei; non sono che in venti.

— Grazie, Lisandro! — rispose Emilio che aveva riconosciuto, nel popolano che gli parlava, il compagno dello Spadon dei dodici.

E senz’altro aggiungere scavalcò la barricata e ripigliò la corsa verso il Ponte Vetro.


Quando egli giunse sulla piazza, la lotta corpo a corpo era già impegnata fra una cinquantina di soldati e non più di venti cittadini che si battevano disperatamente colle poche e deboli armi di cui erano muniti. Parecchi cadaveri stavano già distesi al suolo. Emilio colla sciabola stretta nel pugno, come pantera che si fa più feroce all’odore del sangue, si gettò sul primo Austriaco che gli si parò dinanzi, il quale alzato in alto il fucile a guisa di mazza, stava per calarlo sulla testa d’un patriota che gli volgeva le spalle; e menatogli un terribile fendente gli tagliò netto un braccio.