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fazzoletto, girò intorno lo sguardo e si trovò in un’ampia sala illuminata scarsamente da due lumi posati sopra una tavola rotonda, che vi sorgeva nel mezzo.

Lo sconosciuto, deposto su quella tavola l’astuccio, pregò l’altro di attenderlo per un istante; e attraversata la stanza scomparve per un uscio a fior di muro.


Rimasto solo il professore girò un altro sguardo molto più curioso del primo sugli oggetti che si trovavano in quella camera, e si diede ad esaminarli.

La era una di quelle malinconiche sale, come se ne trovano ancora molte nelle case di campagna, mentre, per amor del ricavo e de’ propri comodi, il proprietario in città le ha totalmente abolite.

La vôlta altissima, a spicchi, era fregiata di stucchi foggiati a pampini, che correvano su a intrecciar la cornice ovale di un medaglione di discreto autore, che rappresentava la solita... la eterna toilette di Venere. Degli specchi antichi dalle cornici barocche — che la moda rifece preziosi oggidì — stavano appesi alle pareti, coperte da un arazzo di un colore fra l’albeggiante e il lionato. Qua e là accanto agli specchi, disposti senza simmetria, alcuni quadri. Sul piano di un vasto camino, si rifletteva da un altro specchio un pendolo e due vasi della China, sui quali la bizzarra fantasia dei figli del sole aveva riprodotta la vita chinese nella sua più grottesca e fantastica espressione.