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cui ti parlai, fatta diciott’anni prima dal mio al padre di lui. Ne chiesi novella intorno, trovai chi lo conosceva, e ai connotati capii che era veramente lui. Stetti circa dodici anni senza rivederlo, nè sentirne a parlare. Allora tu eri in collegio, e non mi conoscevi ancora. Finalmente un dì leggendo il giornale mi cadde sott’occhio il di lui nome fra gli arrivati a Milano di quella giornata. Veniva da Genova.

Mi prese curiosità di rivederlo, e infatti trovai modo di incontrarlo in istrada e di fissarlo. Era lui; invecchiato di dodici anni, ma era lui. Mi guardò, ma o fece mostra di non conoscermi, o non mi ravvisò davvero, e passò oltre. Il giorno dopo ripartiva per chissà dove. Passarono così altri sette anni, e venne il quarantotto. Tu partisti colla legione Manara, ed io, dopo la battaglia di Novara, andai, come sai, a star in campagna. Un giorno, venuto a Milano nel giugno del 50, mi pare, passeggiando sui bastioni, vidi una carrozza molto elegante, fermata dinanzi ai cancelli della scalinata che mette nei giardini pubblici, da cui smontarono una bellissima giovine, e tuo padre, a cui ella diede il braccio in modo, che capii subito che la doveva essere sua moglie. Ne chiesi conto alla sera, e mi fu detto infatti che egli si era ammogliato da qualche mese. E fu allora che finii di perdere la speranza ch’ei potesse pensare ancora a riconoscerti.

— E non mi direte chi sia quest’uomo? — chiese Emilio che aveva ascoltato quel racconto in religioso silenzio.