Pagina:Arrighi - La scapigliatura e il 6 febbrajo, Milano, Redaelli, 1862.djvu/205

Che bisogno poi ci avessero di accender un lume mentre era già sorto il mattino, non ve lo saprei veramente dire.


Poco lungi dal filarmonico cerchio, quattro maschere curvate sul desco giuocavano fragorosamente alla morra.

Il giuoco della morra, per chi non lo conoscesse, consiste nel gridare a due voci più o meno sgarbatamente uno dei nove numeri che stanno compresi fra l’uno e l’undici, e nel mostrare al tempo istesso un numero qualunque di dita della mano destra, in modo che sommato con quello della mano avversaria, abbia a produrre appunto il numero gridato.

Chi primo arriva a una certa quantità di punti è vincitore.

Dicono volerci a giuocarla molto talento, o almeno molta prontezza; ed io lo credo benissimo, giacchè le poche volte che m’avvenne di trovarmi in partita, mi toccò sempre di pagar lo scotto. Figuratevi che ero capace di mandar giù quattro dita, o anche la mano aperta, e di gridare con tutta la forza dei polmoni: tre.

Un quinto che stava daccanto alla partita e sorvegliava i punti era il gentiluomo, quello che in fiorentino si chiama: il Signore.

Era un ragazzaccio di diciott’anni, chiamato da’ suoi compagni Fanfirla. Fanfirla in gergo vuol dir tabacchiera, chè, essendo stato l’oggetto del suo pri-