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— Va, divertiti, — continuò egli colla pertinacia ironica di chi ha le lune a rovescio — divertiti, povera città di Belloveso... forse sono gli ultimi strepiti. Fra due giorni chissà come ti hanno già conciata... se quei pazzi non desistono dalle loro idee...

Si tolse dall’apertura dell’abbaìno, andò ad una cassa, ne tirò fuori alcuni abiti da maschera, si travestì; poi, rifatta la strada, uscì nuovamente di casa, e s’avviò all’osteria della Foppa.


La Foppa era — anzi è ancora — una bettolaccia sul corso di Porta Comasina, laddove esso si allarga a formar quel crocicchio, che adesso si chiama il Largo Garibaldi. Chi passando di là, al giorno d’oggi, volgesse lo sguardo in quell’osteria, vedrebbe facilmente seduta al banco presso l’uscio una giovine donna, belloccia anzichenò, l’attuale ostessa... la quale va discretamente orgogliosa del proprio negozio. La Foppa infatti era già fin dal 1848 un’osteria storica, rammentata nelle cronache cittadine come teatro delle sanguinose gesta del 3 gennaio. La notte in cui accadevano i fatti del mio racconto l’ostessa non rallegrava colla sua presenza quell’antro immondo. Invece sedeva al suo posto un uomo di mezza età, che si avrebbe potuto chiamare il fratello carnale del famoso oste dei Promessi Sposi: “occupato in apparenza in certe figure che faceva e disfaceva colle molle... ma in realtà intento a tutto ciò che accadeva intorno a lui.„