Pagina:Arrighi - La scapigliatura e il 6 febbrajo, Milano, Redaelli, 1862.djvu/199

— Bene; in men d’un’ora capiterò anch’io. A rivederci, Lisandro.

E spiccatosi da lui si diede a lestissimi passi giù per la contrada, chè gli era sembrato di vedere nuovamente l’ombra del suo angelo custode passar poco lungi dal luogo dove stava conversando col popolano.


— Sì; bisogna finirla! — sclamò poi fra sè, quando fu lontano di là, rallentando il passo — Bisogna che io esca totalmente da questi infami lacci. Meglio essere tenuto per poltrone che per assassino. Chi mi conosce sa che non sono un vile. Degli altri che m’importa? Infine, dei miei amici non sono rimasto che io fra questi ribaldi!... Volessero almeno capir la ragione...! Ma ormai tutto è impossibile. Povera gente, come s’illudono! Saranno presi tutti e impiccati, come è vero che adesso è notte buia. È d’uopo uscirne; è d’uopo uscirne... Domani sarò libero... Era tempo che avesse fine questa vita! Però non del tutto libero! Quel Paolino mi spaventa sempre... Maledetto chi me lo mise tra i piedi. Da un momento all’altro egli può denunciarmi... Non sarei il primo... In prigione... giudizio statario... la sentenza... condotto fuori... e là dinanzi l’orribile palo...

Ma che! — sclamò rinvenendo a un tratto dalla truce fantasia — Avrei io paura? Stolido, imbecille che io sono! Che sia il sciampagna del Rebecchino che mi dà di queste debolezze? Gran che, la morte! Non l’ho io già sfidata cento volte a quest’ora? La