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— L’angelo custode! — sclamò stringendo i pugni di rabbia — Ah voleva ben dir io che stanotte non t’avessi alle spalle!

E dato intorno un rapido sguardo, per assicurarsi di non essere sorvegliato da altri, si slanciò verso il luogo dove aveva intravveduto sparire quell’ombra.

— Eccolo! — gridò scorgendo di nuovo il fantasima scivolar fuori dell’atrio, e darla a gambe giù per la piazza.

Allora, a tutta corsa, si diede a inseguirlo nell’oscurità. Cogli occhi intenti, coi denti stretti, colle dita arroncigliate e pronte a ghermire, ei volava, volava veloce, come segugio sull’orme della volpe. E già gli pareva di raggiunger quell’ombra fuggitiva, quando, accortosi a un tratto che la gli era sfumata dinanzi, si fermò a riprender fiato, a scrutar nel buio se gli venisse fatto di scoprirla di nuovo, e tese l’orecchio.

La contrada che gli si apriva dinanzi, sebbene deserta e silenziosa, era però animata da un certo vago e indistinto brulicar di rumori, che ronzavan, per così dire, nell’aere, e che si potrebbero chiamare i bisbigli notturni del carnevale. Erano fioche note di istrumenti musicali, che partivano da qualche casa dove si ballava... portate dalla brezza, e coperte di quando in quando da qualche più distinto schiamazzo di maschere ebbre ed urlanti.

Perduta ogni traccia dell’inseguito, Emilio imboccò la contrada, e, dati pochi passi, si accorse di uno strepito confuso di voci, di canti e di zufoli, che si