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bellezza a Milano, e il di lei nome non poteva tornare nuovo ad alcuno; tanto meno poi ad una crestaia. Perciò, quando l’ebbe udito, la Gigia sulle prime restò quasi abbacinata dallo stupore; poi, come se le prendesse la disperazione, si gettò prona sul cuscino del sofà a piangere dirottamente.


A questo punto un omerico scoppio di riso risuonò insieme a molti applausi nella sala.

Teodoro ne avea detta una delle sue.

— Gigia, non farti scorgere, ti raccomando; — disse Teresa all’orecchio della povera ragazza sconsolata.

La Gigia si alzò cogli occhi gonfi e sclamò:

— Adesso comprendo! Pur troppo!

— Che cos’è che comprendi?

— Tu non sai. Tre o quattro giorni fa venne dalla Chaillon la contessa Firmiani a comandare un cappello, e, senza ch’io l’avessi mai veduta, la mi sorrise e la mi parlò, che non potevo capirne il perchè.

— Ebbene?

— La contessa Firmiani è cugina della Dal Poggio.

— Dunque la Dal Poggio sa che tu sei l’amante di Emilio?

— Lo credo, se no, perchè avrebbe mandata sua cugina?

— E sei stata a casa di questa Firmiani?

— Sì, il giorno dopo.

— Che cosa la ti disse?