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nasino schietto con due narici rosee, aperte, palpitanti — non di attualità — che si direbbe fiutino l’amore, e spirino la voluttà; e finalmente da una bocca con due labbra d’un colore più vivo di quello d’un midollone di cocomero venduto alla prova.

Vedendola il giovinetto si ferma sui due piedi e mormora: com’è bella! Essa gli passa rasente senza lasciargli capire d’essersi accorta menomamente di quell’ammirazione, poi va a cercar nella via dove c’è dell’umido per aver il pretesto di sollevare il lembo della gonna; e così, in punta di piedi, dondolandosi leggermente sulle anche attraversa la strada.

Il giovinetto senz’avvedersene comincia a tenerle dietro. Ella colla coda dell’occhio ha già veduta la di lui ombra mettersi sulle sue peste, sorride e si prepara all’abbordaggio.

I lumai sono in volta; suona l’avemaria. Il giovinetto si porta al fianco della fanciulla — fiorista, o crestaia, o cucitrice o modella? — e le dà un’occhiata di traverso.

Ella o affretta il passo, o scivola dietro di lui dall’altra parte della via; e questo scambietto traditore lo fanno tutte, abbiano voglia o no di lasciarsi accompagnare.

Ma il giovinetto si fa coraggio, le chiede il permesso di mettersele al fianco e le domanda se ha l’amante.

Tutte le ragazze che vanno sole a chi loro domanda se hanno l’amante rispondono di no; e al perchè non ne abbiano, soggiungono: — Chi vuol