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de’ sei compagni di Niso, che sapevano per prova quanto il papà fosse irremovibile ne’ suoi propositi.


Come dissi, nel frattempo, ammorzati i bollori del vino, anche il frastuono delle voci era andato cessando poco a poco. Le grandi questioni morali e metafisiche, così burlescamente dibattute a tavola, avevano lasciato campo alla galanteria ed agli scherzi. Le donne, poco prima dimenticate da quei filosofi, ripigliavano il loro dolce impero sugli animi, e la conversazione volgeva dovunque alle intime confidenze.

Varii gruppi s’erano andati formando a coppie, a tre, a quattro. Emilio dopo aver dato seriamente da bevere allo sparato della camicia s’era addormentato. Gastoni faceva il sentimentale. Teodoro a cui erano già passati i fumi del vino, stava acconciandosi in testa una specie di turbante, coi tovaglioli che avevano servito alla cena, mentre due delle ragazze gli panneggiavano sulle spalle la tovaglia e il tappeto della tavola. Egli doveva scimmieggiar Modena in una scena di sua invenzione, ch’egli aveva annunciata col titolo di Maometto fra le houris del paradiso turco. Teodoro era famoso per questi lazzi; era nato col bernoccolo dell’imitazione. Che cosa non avrebb’egli imitato, dal moscone che ronza presso i vetri di una finestra cercando invano d’uscire, fino alle più impercettibili flessioni di voce d’un attore conosciuto... dal friggere d’un paio d’uova al tegame, fino alla confes-