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templazioni degne di un fanciullo di dieci anni; era capace di star dei quarti d’ora a rimirare un pollo d’India far la ruota, o due galli azzuffarsi sulla concimaia, chissà che pensieri volgendo in capo, e sorrideva come chi non ha in cuore che delle speranze.

Fu a Venezia, e ne andava pazzo; là dopo veglia in teatro, dopo aver fatto il diavolo a quattro in maschera, quasi morto di stanchezza e di sonno, pur non rientrava in casa se non dopo aver camminato qualche ora su e giù per le calli ad ammirare la superba città dei Dogi sepolta nella quiete delle ultime ore di notte.

Tutto in lui era contraddizione. Tutto in lui riusciva a formare il tipo del giovine condannato alla pena di Tantalo del secolo decimonono.

Povera natura ardente! Il suolo della sua terra non ebbe per lui abbastanza emozioni. Egli era nato per vivere nel cratere di un vulcano.


Una sera sono al veglione; mi si avvicina un conoscente e mi dice:

— Buona sera, Gustavo... Anche tu al veglione? Che miracolo...! Hai sentito di quel povero diavolo che poco fa s’è gettato dalla finestra?

— No... dove? — chiesi io con una stretta al cuore.

— In contrada di Santa Radegonda.

— Oh Dio! Sarebbe mai Temistocle!

E piantando sui due piedi quel nuncio di mal-