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Molti di essi diventarono poi soggetti dei miei drammi... che non ho ancora fatto rappresentare... e che faranno furore...

Temistocle aveva sopratutto l’umor nero, che gli tormentava l’esistenza e gli schiantava l’energia del fare, nella disperata conclusione dell’: a che scopo? Allora le sue lugubri pensate parevano pronostici della sua fine miseranda; litografie desolanti, vere immagini di quell’anima desolata.

Qua una povera fanciulla scalza, morente di fame e di freddo, che invoca un tozzo di pane per l’amor di Dio, da un banchiere che corre alla Borsa e la ributta con una ignobile parola, perchè col capo nell’Augusta non si accorge neppure che la povera creatura è bella, e che la elemosina gli potrebbe fruttare... il prezzo dell’infamia.

Là una bara che esce a mattino dalla portaccia di un povero morto di miseria e di stenti, la quale s’incontra in due domini coperti di trine e di diamanti che mettono il piede calzato di raso sul predellino di una carrozza dorata e vanno a riposare dal veglione della notte.

Scene di miseria, che non si danno o ben di rado a Milano, ma che pure facevano pensare e fremere.

Eppure anch’egli era, come Emilio, uno dei più grandi affettatori di cinismo e di insensibilità ch’io mi abbia mai conosciuto. Povero entusiasta pieno di cuore!

In campagna, per esempio, gli si potevano sorprendere delle ingenuità, dei moti di gioia, delle con-