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sua umile schiava, si piega al più piccolo suggerimento, al più lieve capriccio di esso, mentre s’impenna e resiste, e contraddice alle voci minacciose e pur potenti della ragione, della giustizia, e perfino della necessità.

Chissà quante magnanime azioni, chissà quanti delitti destati da un moto leggerissimo di questo muscolo cavo, che è il più grande amico, e il più grande nemico dell’uomo!

Ed ecco perchè Emilio s’avviò al caffè S. Carlo, e non al Martini.

Quando Noemi lo aveva invitato in carrozza, egli aveva risposto: No, bisogna ch’io vada al caffè.

Noemi sapeva che il caffè dove ei soleva andare a mezzanotte era il Martini. Ora, siccome il Martini era precisamente sulla strada che la carrozza doveva percorrere per andar a casa, il pretesto del suo rifiuto non reggeva.

Quando fu solo, col rimorso che gli sorgeva nell’anima, questo ragionamento produsse il suo effetto logico; e quasi per iscusar sè stesso, o per trovar poi una scusa da rispondere a Noemi, quando le avesse rinfacciato quel rifiuto crudele, invece di tenere la stessa strada della carrozza prese per la sinistra verso il caffè S. Carlo.

Quella scusa era frivola, era puerile; chi non lo vede? Ma quanto più frivola e puerile, tanto più è preziosa per noi; giacchè mostra a quali miserabili appigli si attacca talvolta l’amor proprio per illuder sè stesso, per darsi ragione, per fingere almeno di non aver avuto torto.