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D’ARISTOFANE. 252
G.
Strassinate i navigatori, e li corrompete.
V.
Vien qua e taci.
Al. V.
Per Giove, vien da me.
G.
Questa cosa è manifesta secondo la sentenza de la regola che bisogna chiavarle ambe due, sendo pigliato e strassinato di mezzo: come dunque potro io remigarle ambe due?
V.
Bene, quando havrai mangiato un’olla de bulbi.
Gio.
Oime infelice, stracciato son presso à la porta.
Al. V.
Ciò non serà piu, ch’io voglio morir con teco.
G.
Non, per dio, imperoche è meglio esservi buon uno, che doi cattivi.
V.
Per la Luna ò che vuoi, ò che non vuoi.
G.
O tre volte disgratiato io, s’è ch’io sedazzi tutta notte e tutt’il dì una vecchia marza e poi liberato da costei, ch’io deba havere anchora Fride che su’l mostazzo hà il bocal da l’oglio? Non son io infelice? Per Giove salvatore son gravifelice e huomo infortunato, che à tali bestie e fiere ceder mi conviene. non dimeno se haverò patuto qualche cosa, navigando à queste putane, sepelirolo ne la faccia de l’ingresso.
V.
E ne la superficie de’l sepolcro, elle vivente con la pece si dee illinire, poi legarle il piombo circa le caviglie d’i piedi, et l’imponerai sopra la iscusatione per il lecytho.
Fante.
O popolo veramente beato, e io aventurata, e la mia patria beatissima, e voi qua-