Pagina:Aristofane - Commedie, Venezia 1545.djvu/417

LA PACE


te andarai ne le corti di Giove, retirando però il naso da la puzza, e da tutti gli hodierni cibi. Che fai quì cacando ne’l Pireo ò huomo, presso à le putane? se mi ammazzarai, non mi sotterrarai? non mi gittarai à dosso molta terra? e mi piantarai sopra un serpillo, e mi gittarai à dosso de l’onguento. però che se io casco, di tal morire morirò. la cità di Chio bisognava pagare cinque talenti per il tuo culo solamente. oime quanto ho io temuto, non più cavillando parlo. ò ingenioso avertiscemi, ho gia un certo spirito che si mi volge a’l boligolo: e se non mi servarai, satiarò io il Cantaro. Ma mi par essere apresso à gli dei, e vego gia la rocca di Giove. non m’aprirete?

Mer.
O signor Hercole, d’onde ho sentito io una voce d’huomo, che scelerità è questa?
Tri.
Cavallo cantaro.
Me.
O scelerato, audace, impudente, ghiotto, e poltrone in cremesino, e sceleratissimo. in che modo sei venuto, e asceso quà o sceleratissimo di scelerati? che nome è il tuo, non lo dirai?
Tri.
Sceleratissimo.
Me.
Di che generatione sei tu? dimilo.
Tri.
Sceleratissimo.
Me.
Chi è tuo padre?
Tri.
Mio padre sceleratissimo.
Me.
Per la terra ti farò morire, se non mi dici il nome tuo.