Pagina:Aristofane - Commedie, Venezia 1545.djvu/232

diventa un nobil scrivano di giustitia, ò nodaro.

Po.
Et à me dimi come hai nome.
Al.
Agoracrito, perche ne'l popolo giudicato, era pasciuto.
Po.
Ad Agoracrito adunque mi rimetto. et questo di Paflagonia tradisco.
Al.
Et io certo ò popolo di te haverò buona cura. à dirti il vero, tu non potevi conoscere un migliore huomo di me, di quelli che stanno con la bocca aperta in questa cità.

Che cosa migliore è à quelli che cominciano, ò à quelli ch'hanno finito, che cantare i carattieri de veloci cavalli? non havemo gia diliberato d'attristare ne Lisistrato, ne Tomantide povero. per ciò che ò caro Apolline costui hà fame, con calde lagrime toccando il tuo carcasso in Pitone, per il faticarsi malamente, dir male de tristi: niente è invidioso. ma honore à gli huomini da bene, che pensan bene: come che costui, à chi conviene udire molte cose et triste, sia manifesto. non mi ricordarei de l'huomo amico. hor niuno sa gia chi si sia questo Arignoto, chi hà conosciuto il bianco ò vero una giusta lege. è dunque suo fratello il scelerato Arifrade, che de costumi niente gli appartiene. ma questo pure anchora vuole. hor egli è non solamente tristo, perche non me n'havrei pur avertito. ne anche in tutto tristo, ma anchora hà trovato qualche cosa, perche s'offende la sua lingua