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- Cre.
- Non mi pagarai dunque?
- Str.
- Non, per quanto posso vedere. non t’affretti punto, però tosto fugirai da la porta.
- Cre.
- Vò via, ma sapi che porrò le buone mani, ò che piu non viverei.
- Str.
- Le gittarai via adunque apresso à le dodeci. niente di meno non voglio che tu patisci questo. che hai stoltamente di te chiamato il cassone.
- L’altro creditore.
- Oime, oime.
- Str.
- O là, chi è questo che si lamenta? hà forsi alcuno de i dei parlato qualche cosa di Carcino?
- Cre.
- Che cosa? ciò che sono io, volete sapere? io sono un’huomo sventurato.
- Str.
- Voltati à te medesimo.
- Cre.
- O fortuna aspra, ò disgratie che hanno guasto i carri de mei cavalli, ò Minerva in che fogia mi hai rovinato?
- Str.
- Mò che male t’hà mai fatto Tlepolemo?
- Cre.
- Non mi dir villania ò tu, ma comanda à tuo figliuolo che mi renda la roba, che hà ricevuto, altramente, dirò che hà fatto male.
- Str.
- Che sorte di danari?
- Cre.
- Che egli hà tolti impresto.
- Str.
- Male veramente adunque tu gli havevi, a’l mio parere.
- Cre.
- Cacciando i cavalli son caduto, per gli dij.
- Str.
- Che zancitu adunque, quasi che tu sij cascato giu d’un’asino?
