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SETTIMA 75

Poi che tanti mie’ amici potestade
     Hanno avuto di farlo; pur rimaso
     Son sempre in servitude, e in povertade.
Non vo’ più che colei, che fu del vaso
     De l’incauto Epimeteo a fuggir lenta,
     Mi tiri come un bufalo pel naso.
Quella ruota dipinta mi sgomenta,
     Ch’ogni mastro di carte a un modo finge;
     Tanta concordia non credo io che menta.
Quel, che le siede in cima, si dipinge
     Un asinello: ognun lo enigma intende,
     Senza che chiami a interpretarlo Sfinge.
Vi si vede anco, che ciascun, che ascende,
     Comincia a inasinir le prime membre,
     E resta umano quel che a dietro pende;
Fin che de la speranza mi rimembre,
     Che co i fior venne e con le prime foglie,
     E poi fuggì senza aspettar Settembre.
Venne il dì, che la Chiesa fu per moglie
     Data a Leone, e che a le nozze vidi
     A tanti amici miei rosse le spoglie.
Venne a Calende, e fuggì innanzi a gl’Idi,
     Fin che me ne rimembre esser non puote
     Che di promessa altrui mai più mi fidi,
La sciocca speme a le contrade ignote
     Salì dal ciel quel dì, che ’l Pastor Santo
     La man mi strinse, e mi baciò le gote.