Poi che tanti mie’ amici potestade
Hanno avuto di farlo; pur rimaso
Son sempre in servitude, e in povertade.
Non vo’ più che colei, che fu del vaso
De l’incauto Epimeteo a fuggir lenta,
Mi tiri come un bufalo pel naso.
Quella ruota dipinta mi sgomenta,
Ch’ogni mastro di carte a un modo finge;
Tanta concordia non credo io che menta.
Quel, che le siede in cima, si dipinge
Un asinello: ognun lo enigma intende,
Senza che chiami a interpretarlo Sfinge.
Vi si vede anco, che ciascun, che ascende,
Comincia a inasinir le prime membre,
E resta umano quel che a dietro pende;
Fin che de la speranza mi rimembre,
Che co i fior venne e con le prime foglie,
E poi fuggì senza aspettar Settembre.
Venne il dì, che la Chiesa fu per moglie
Data a Leone, e che a le nozze vidi
A tanti amici miei rosse le spoglie.
Venne a Calende, e fuggì innanzi a gl’Idi,
Fin che me ne rimembre esser non puote
Che di promessa altrui mai più mi fidi,
La sciocca speme a le contrade ignote
Salì dal ciel quel dì, che ’l Pastor Santo
La man mi strinse, e mi baciò le gote.