Ch’io volea intender prima, in che avea offeso
Enea Giunon, che ’l bel regno da lei
Gli dovesse d’Esperia esser conteso.
Che ’l saper ne la lingua de gli Achei
Non mi reputo onor, s’io non intendo
Prima il parlare de’ Latini miei.
Mentre l’uno acquistando, e differendo
Vo l’altro, l’occasion fugge sdegnata,
Poi che mi porge il crin, ed io no ’l prendo.
Mi fu Gregorio da la sfortunata
Duchessa tolto, e dato a quel figliuolo,
A chi avea ’l zio la signoría levata.
Di che vendetta, ma con suo gran duolo,
Vide ella tosto, oimè! Perchè del fallo
Quel, che peccò, non fu punito solo?
Col zio il nipote (e fu poco intervallo)
Del regno, e de l’aver spogliati in tutto
Prigioni andàr sotto il dominio Gallo.
Gregorio a’ prieghi d’Isabella indutto
Fu a seguir il discepolo, là dove
Lasciò morendo i cari amici in lutto.
Questa jattura, e l’altre cose nuove,
Che in quei tempi successero, mi fero
Scordar Talia, Euterpe, e tutte nove.
Mi more il padre, e da Maria il pensiero
Dietro a Marta bisogna ch’io rivolga;
Ch’io muti in squarci, ed in vacchette Omero.