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70 SATIRA

Ch’io volea intender prima, in che avea offeso
     Enea Giunon, che ’l bel regno da lei
     Gli dovesse d’Esperia esser conteso.
Che ’l saper ne la lingua de gli Achei
     Non mi reputo onor, s’io non intendo
     Prima il parlare de’ Latini miei.
Mentre l’uno acquistando, e differendo
     Vo l’altro, l’occasion fugge sdegnata,
     Poi che mi porge il crin, ed io no ’l prendo.
Mi fu Gregorio da la sfortunata
     Duchessa tolto, e dato a quel figliuolo,
     A chi avea ’l zio la signoría levata.
Di che vendetta, ma con suo gran duolo,
     Vide ella tosto, oimè! Perchè del fallo
     Quel, che peccò, non fu punito solo?
Col zio il nipote (e fu poco intervallo)
     Del regno, e de l’aver spogliati in tutto
     Prigioni andàr sotto il dominio Gallo.
Gregorio a’ prieghi d’Isabella indutto
     Fu a seguir il discepolo, là dove
     Lasciò morendo i cari amici in lutto.
Questa jattura, e l’altre cose nuove,
     Che in quei tempi successero, mi fero
     Scordar Talia, Euterpe, e tutte nove.
Mi more il padre, e da Maria il pensiero
     Dietro a Marta bisogna ch’io rivolga;
     Ch’io muti in squarci, ed in vacchette Omero.